L'associazione «Svizzera Sud Sudan» in aiuto dei bambini di Betlemme

 «I bambini sono spesso spaventati ed è difficile distrarli da ciò che accade intorno a loro. Di notte sentono volare aerei militari pesanti, di giorno spari, rumori di ambulanze e l’odore acuto di gas». In una conversazione raccolta per catt.ch da don Adam Kowalik, parroco di Castagnola e presidente dell’Associazione «Svizzera Sud Sudan», suor Elisabetta Hrehorowicz rivela la sua inquietudine per la situazione attualmente vissuta da molti bambini e ragazzi a Betlemme e, soprattutto, nella «Casa della Pace» gestita in loco dalle Suore di Santa Elisabetta, un orfanotrofio per bambini palestinesi.


A causa della chiusura dei confini, «in città mancano i prodotti alimentari di base come farina, zucchero, frutta, verdura e carburante», elenca la superiora e nota che gli abitanti di Betlemme chiedono aiuto sempre più spesso in questi giorni: «A causa della mancanza di lavoro, molte persone chiedono cibo e prodotti per la pulizia. Cerchiamo di condividere ciò che abbiamo raccolto grazie al sostegno dei numerosi pellegrini che ci visitano; acquistiamo riso, pasta e olio».

E la vita nell’orfanotrofio? «La maggior parte delle scuole sono aperte, anche se le lezioni sono ridotte. La nostra casa funziona in modo relativamente normale, anche più intensamente del solito, perché i nostri alunni trascorrono più tempo a casa. Non abbiamo rifugi, ma confidiamo che non ne avremo bisogno», sottolinea.
A loro giunge costante, in questi mesi, l’aiuto proprio dall’Associazione di don Adam e dalla Fondazione ticinese «ANAVIM». Attualmente nella «Casa della Pace» vivono 42 bambini cristiani. «I più piccoli hanno due anni, i più grandi sono quasi adulti; il vostro aiuto è preziosissimo», conclude la religiosa.

Per donazioni, attraverso l’Associazione «Svizzera Sud Sudan»: Conto 69-7842-5; Banca Raiffeisen, 6892 Agno – CH90 8080 8006 1876 9221 3.

Per ulteriori informazioni: Associazione Svizzera Sud Sudan (ASSS): Don Adam Kowalik – presidente dell’ASSS

(red)CATT.CH




Vescovo Christian - Diocesi Bentiu (Sud Sudan)

 

LA SORPRESA SEMPRE NUOVA DEL NATALE

A luglio scorso, papa Francesco ha eretto la nuova diocesi di Bentiu scorporando questo territorio dalla diocesi di Malakal. La mia nomina come primo vescovo di questa diocesi è stata un dono e una sorpresa inaspettata. Nel mese di agosto sono andato a prendere possesso di Bentiu e celebrare con la gente. Il territorio è molto vasto. Copre una superficie di quasi 38 mila chilometri quadrati, circa il doppio del Veneto. La popolazione conta circa 1 milione 130 mila persone appartenenti alle due etnie – Dinka e Nuer – le cui relazioni non sono facili. I Cattolici sono 450 mila, mentre i protestanti circa 350 mila. Il resto della popolazione segue la propria religione tradizionale. C’è anche una piccola ma significativa presenza di mussulmani. Le parrocchie sono sette, tutte molto estese nel territorio e con un numero molto grande di cappelle. Dopo l’ordinazione sacerdotale di due giovani preti il 10 novembre scorso, i preti diocesani sono ora nove. In diocesi abbiamo una comunità di missionari comboniani che segue la parrocchia di Leer, e tre frati cappuccini che seguono la parrocchia di Rubkona.

Questa parte di popolazione è certamente tra le più emarginate e povere del paese. Il territorio è molto isolato e difficile da raggiungere. Non ci sono strade praticabili e per molti mesi dell’anno ci si arriva solo in aereo. La città di Bentiu è stata devastata dal conflitto (2013-19). Rubkona ospita il più grande campo sfollati del paese: ben 130 mila persone che vivono totalmente dipendenti dall’aiuto umanitario. Questo campo era nato a causa della violenza contro i civili perpetrata durante il conflitto. Dopo l’accordo di pace e il governo di unità nazionale del 2019, la gente è rimasta nel campo sia a causa della povertà che dell’inondazione. Il Nilo ha infatti esondato coprendo più della metà del territorio sommergendo villaggi e terreni coltivabili. L’UNHCR riporta che il 90% della popolazione abbia abbandonato i propri villaggi per trovare rifugio in terreni più elevati ed asciutti. In diocesi c’è anche la presenza di circa 70 mila rifugiati sudanesi soprattutto di etnia Nuba nei campi di Yida e Jamjang. C’è tanta miseria e la popolazione vive in una condizione di vulnerabilità molto grave.



A questo si aggiunge la crisi ecologica che è sempre legata a una crisi umana. Infatti lo sviluppo economico slegato dall’etica non riduce le disuguaglianze, ma le aumenta insieme a evidenti ingiustizie. Infatti il petrolio che viene qui estratto non ha portato benessere alla popolazione. È stato fonte di arricchimento personale per la classe dirigente, ha alimentato la violenza nel paese e nelle aree dove c’è, e continua a fungere da motore principale della competizione tra le élite all'interno del sistema politico del paese. L’estrazione del petrolio ha avuto un impatto negativo sull’ambiente a causa delle perdite di sostanze tossiche che oggi, con l’inondazione, inquinano le fonti d’acqua alla quale la popolazione attinge non senza effetti negativi sulla salute. È uno sviluppo che ha dato priorità al profitto di alcuni gruppi a scapito del bene comune: la protezione dei più deboli, la promozione della pace e una vita più dignitosa per tutti.

 


Si avvicina il Natale. Mi sembra che la ricorrenza e il senso di questa celebrazione porti con sé un messaggio profetico molto forte per l’uomo di oggi, come anche per la Chiesa la cui missione deve essere incarnata nei problemi reali, quelli che tolgono vita. I padri della Chiesa ci ricordano che nell’incarnazione “Dio divenne uomo affinché l’uomo diventi Dio”. L’uomo, per quanto ci provi, che sia attraverso il potere, o la scienza o la tecnologia, non può diventare Dio. Questi sforzi non lo portano ad altro che alienarsi e a perdere la propria umanità. Il Dio fatto uomo ci divinizza come uomini nella comunione con Lui. Quindi non ci nega di essere persone umane, ma ci guarisce dal modo dominante del nostro essere uomini: un modo che sta producendo orrori come la guerra in Medio Oriente e tanti altri pezzetti di guerre, di miserie, di ingiustizie che compongono un mondo dal volto sfigurato e disumano.


 

Gesù bambino ci fa vedere il vero volto di chi siamo: pellegrini che cercano la somiglianza con Dio, la comunione con Lui e i fratelli e sorelle. Gesù chiede tutto e non solo una parte, tutto ciò che c’è bisogno perché il Suo sogno prenda forma. Soltanto chi non pensa a sé vive responsabilmente, ossia vive realmente. Solamente la Chiesa che non esiste per la propria autocelebrazione o preservazione ma per il popolo povero di Dio, è veramente Chiesa. Questo è il cammino inaugurato dal Natale che ci apre a percorsi e prospettive nuove.

Padre Christian Carlassare, mccj

Vescovo di Bentiu e Amministratore Apostolico di Rumbek (Sud Sudan)

Corriere del Ticino (12.10.2024)

 


Il Vescovo di Kandi (Benin), Clet Felicho

 Il Vescovo di Kandi (Benin), Clet Felicho oggi è venuto a Castagnola (S. Giorgio), per visitare la sede della associazione con la mostra "Bambini di Giuba" Autore: Agnieszka Balut- nostra socia.Nella sua Diocesi abbiamo costruito il primo pozzo e nelle prossime settimane sarà costruito secondo. 




Fondazione ANAVIM e Associazione Svizzera Sud Sudan (ASSS) aiutano in Betlemme

 

La Casa della Pace in mezzo alla guerra. Suora Elisabetta sulla situazione a Betlemme 

"I bambini sono spesso spaventati ed è difficile distrarli da ciò che accade intorno a loro. Di notte sentono volare aerei militari pesanti, di giorno spari, rumori di ambulanze e l'odore acuto di gas". In una conversazione con don Adam – presidente ASSS, sorella Elisabetta Hrehorowicz spiega la situazione a Betlemme e, soprattutto, nella Casa della Pace gestita dalle Suore polacche di Santa Elisabetta, un orfanotrofio per bambini palestinesi.

A causa della chiusura dei confini, in città mancano i prodotti alimentari di base come farina, zucchero, frutta, verdura e carburante - elenca la superiora e nota che gli abitanti di Betlemme chiedono aiuto sempre più spesso in questi giorni:

— A causa della mancanza di lavoro, molte persone chiedono cibo e prodotti per la pulizia. Cerchiamo di condividere ciò che abbiamo raccolto grazie al sostegno dei numerosi pellegrini che ci visitano, acquistiamo riso, pasta e olio.

Com'è allora la vita quotidiana nell'orfanotrofio gestito dalle donne polacche durante la guerra?

— La maggior parte delle scuole sono aperte, anche se le lezioni sono ridotte. La nostra casa funziona in modo relativamente normale, anche più intensamente del solito, perché i nostri alunni trascorrono più tempo a casa.

I bambini spesso hanno paura ed è difficile distrarli da ciò che accade intorno a loro. Di notte sentono sorvolare pesanti aerei militari, di giorno si sentono gli spari, il rumore delle ambulanze e l'odore pungente del gas.

– parla della situazione a Betlemme. - Non abbiamo rifugi, ma confidiamo che non ne avremo bisogno - sottolinea.

— Attualmente nella Casa della Pace vivono 42 bambini cristiani. I più piccoli hanno due anni, i più grandi sono quasi adulti.

Non possiamo accettare di più, anche se ce ne sarebbe bisogno.

I bambini hanno bisogno non solo di un luogo e di persone che li amino, ma anche di buone cure, soprattutto i neonati che hanno bisogno di essere accuditi giorno e notte. Siamo solo in tre qui: tre sorelle elisabettiane polacche. I volontari sono tornati in Polonia, e i nuovi non sono arrivati ​​a causa della situazione attuale, rileva il superiore della Casa della Pace.

— I bambini vengono da noi principalmente a causa della difficile situazione delle loro famiglie: povertà, mancanza di lavoro e di mezzi di sussistenza, famiglie disgregate e patologiche, e ci sono anche alcuni orfani. Spesso sono le famiglie stesse a chiedere aiuto. Spesso ci contatta il parroco, a volte le suore Missionarie della Carità o gli operatori sociali.

Cerchiamo di affrontare ciascun caso in modo sensato. A volte sosteniamo pagando la scuola, fornendo cibo o altre cose necessarie

- sottolinea la sorella Elisabetta Hrehorowicz, e aggiunge: - La casa si sostiene solo con le donazioni di brave persone, anche le nostre sorelle elisabettiane ci sostengono. Siamo felici di poter condividere con gli altri ciò che Dio invia attraverso i nostri donatori.

Mercantile Discount Bank – Jerusalem – ISRAEL

Branch Number: 0638

Branch Name: Salah Eddin

BIC CODE: BARDILIT

IBAN Dollar US : IL130176380000095285573

Account owner: Sisters Of St. Elizabeth

Entro luglio 7 milioni di persone senza cibo a sufficienza

 In Sud Sudan, i bisogni della popolazione stanno aumentando drasticamente a seguito del massiccio arrivo di rifugiati in fuga dal conflitto nel vicino Sudan.

Foto: Agnieszka Balut


L’inizio della guerra in Sudan ha causato oltre 10 milioni di sfollati e nell’aprile dello scorso anno più di 680.000 persone sono arrivate in Sud Sudan. Attualmente, il sistema sanitario del paese e l’assistenza umanitaria riescono a malapena a soddisfare i bisogni della popolazione.

Nei prossimi mesi, la pressione sui servizi sanitari e sulle organizzazioni umanitarie è destinata ad aumentare. Si prevede che entro luglio 7 milioni di persone non avranno accesso a cibo a sufficienza.

Circa 13.000 rifugiati sono attualmente bloccati a Renk, città nello stato di Upper Nile in Sud Sudan che si trova a circa 60 chilometri da Joda, la prima località oltre il confine da dove entrano le persone in fuga dalla guerra.

Le condizioni di vita delle persone in transito – che attendono di continuare il viaggio in Sud Sudan o di rientrare in Sudan – sono terribili e l’accesso a cibo, acqua, riparo, servizi igienici e assistenza medica è limitato. Molti di coloro che arrivano al confine sono feriti e gravemente malnutriti, dopo aver camminato per settimane per raggiungere un luogo sicuro.

Le agenzie umanitarie forniscono loro il denaro necessario per comprare cibo per una settimana, ma molte persone si ritrovano bloccate al centro di transito di Renk per settimane o addirittura mesi. In attesa di un mezzo di trasporto per proseguire il viaggio.